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Vuele li cuecce o li sordi?

Per generazione la figura del Laùru, da sempre immaginato nella mente collettiva come un folletto/spiritello o -nei minori dei casi- come un bambino non battezzato, che ha coinvolto non soltanto l’ambiente tarantino ma anche salentino (scazzamurieddhru) e manduriano. Il nome “Laùro” deriva dal laùro (albero di alloro) dove il folletto si rifugiava nel diurno scatenando i propri capricci e ira funesta al malcapitato di turno nella notte.

La tradizione narra che il folletto si posi sul petto del malcapitato immobilizzandolo e impedendogli di respirare; oppure nelle fattorie si racconta che esso sia capace di intrecciare la criniera ai cavalli facendo ammattire il proprietario per districare la folta criniera.

In realtà entrambi i casi gli “scherzetti” del Laùro sono riconducibili a casi clinici: il primo, il peso sul petto, è dovuto a una cattiva digestione; il secondo a un tipo di bruco che si annida nelle criniere dei cavalli facendo intrecciare i peli.

Lu Laùro però può portare, se si riesce a togliere il cappello rosso che indossa, oro al malcapitato e il folletto porrà una domanda: “Vuele li cuecce o li sordi?” (Vuoi i cocci o i soldi?). Questo però è un tranello perché se si sceglie i soldi esso ti porterà ad avere cocci mentre se scegli i cocci ti porterà a scoprire i suoi tesori nascosti.

Per scacciare lo spiritello bisognava mangiare una fetta di pane seduti sul water.

A disparte da questa tradizione folkoristica, è presente un’altra più “romantica” del Laùro: negli anni passati l’amoroso e/o l’amante, di una donna per non farsi scoprire dalla famiglia di lei o di lui era solito coprirsi dalle spalle al volto con una “manta” e cercare di destreggiarsi nell’oscurità senza farsi riconoscere; i bambini che giocavano per le strade e lo vedevano nel buio urlavano: “E’ lu Laùro!