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Mostra della Ceramica 2017: regolamento e modulo di adesione

L’Amministrazione Comunale di Grottaglie è lieta di comunicare che è pronta nell’organizzazione della Mostra della Ceramica 2017 con tema “ACQUA energia che genera, forza che trasforma”, che si svolgerà a Grottaglie presso il Castello Episcopio e il Quartiere delle Ceramiche, dal 1 luglio al 10 settembre 2017.
Verrà articolata in due sezioni: 1) XXIV Concorso di Ceramica Mediterranea, 2) Dono istituzionale Città di Grottaglie.

La prima è riservata ad artisti/professionisti accreditati o ad associazioni che operano nel settore ceramico, la seconda è riservata ai ceramisti di Grottaglie.
L’edizione è la numero 24 e si terrà nel Quartiere delle Ceramiche, dal 1° luglio al 10 settembre 2017.
Il disciplinare e la relativa documentazione di adesione:

  1. Disciplinare XXIV mostra della ceramica
  2. Scheda di adesione XXIV Concorso di Ceramica Mediterranea
  3. Scheda di adesione Dono istituzionale Città di Grottaglie

Le schede di adesione dovranno essere accompagnate dalle immagini delle opere e inviate tramite e-mail agli indirizzi:

cultura@comune.grottaglie.ta.it 

ufficio.iat@comune.grottaglie.ta.it

SCADENZA: 31 maggio 2017.

La ceramica di Grottaglie

Immagine di ceramica grottagliese

 La Puglia, storicamente, possiede il numero più alto di centri di produzione ceramica; dalle vetrine dei musei emergono, infatti, i nomi di Laterza, Martina Franca, Cutrufiano, Canosa, Lucera. Un ruolo centrale entro questa geografia così diversificata può essere affidato a Grottaglie, perchè diventata custode della memoria storica della ceramica con un doppio impegno, conservare valori e forme tradizionali e rinnovare i propri prodotti in uno sforzo sempre prudente, razionale, motivato da scelte ora di carattere tecnico-funzionali, ora di carattere artistico. La storia di questo incessante lavoro si può rintracciare sulla scorta del materiale proveniente dalle più importanti manifatture, da quelle cioè che hanno dato il via ed il tono a maniere notevoli, vuoi per l’ornato, vuoi per le forme e per i colori. In tal modo è possibile individuare una linea di continuità che dal periodo medievale giunge fino ai nostri giorni, partendo proprio da alcuni reperti rinvenuti casualmente nel 1989 sotto il locale castello (c. 1300) che presentano, analogia con quelli ritrovati presso il convento di S. Benedetto a Manduria, anch’essi di età medievale.
Questi, studiati e restaurati nel 1990 dagli allievi del corso di Restauro dell’Istituto Statale d’Arte di Grottaglie, grazie alla perfetta somiglianza riscontrata con quelli ritrovati a Grottaglie hanno fornito una valida testimonianza riguardo la costituzione dell’impasto utilizzato, la varietà delle forme, il tipo di decoro eseguito, e la scelta dei colori. L’attività ceramica medievale grottagliese, può essere posta in relazione all’occupazione delle terre meridionali da parte dei Saraceni, che avrebbero influenzato gli stilemi produttivi anche in epoca successiva; ma è peraltro probabile che tali stilemi fossero giunti per altre vie, quali, quella veneziana prima, spagnola poi. Per secoli l’attività fu rivolta soprattutto alla produzione di laterizi e mattoni per uso edilizio e di suppellettili ed oggetti di uso comune, per rispondere ad una domanda proveniente in particolar modo dal ceto contadino. La causa principale di una produzione che per tutto il cinquecento presenta ancora un carattere rustico, lontano dagli stilemi faentini, presenti invece nella ceramica della vicina Laterza, è sicuramente dipesa dalla mancata presenza in Grottaglie di corti principesche o feudali che potessero commissionare una ceramica più fine e di conseguenza più costosa.
Una particolare importanza riveste l’esame dei documenti conservati nell’Archivio di Stato di Napoli, pubblicati dallo studioso salentino Nicola Vacca, i quali dimostrano la presenza in Grottaglie dal 1663 della specializzazione “faenzara”, usata per indicare il fabbricante di oggetti ingobbiati a smalto, con sicurezza, importata dalla vicina Laterza dove appunto tale produzione era fiorente. La mancanza di un numero significativo di soggetti firmati o indicati esplicitamente come originari di Grottaglie nei secoli XVII-XVIII, viene spiegata dal fatto che i prodotti venivano identificati con le indicazioni del destinatario, quasi sempre appartenente alla nobiltà o alla ricca borghesia. Questo fa pensare che a Grottaglie si producessero oggetti d’arte, commissionati dalla nobiltà dei centri vicini, in particolar modo da Martina Franca, dov’era presente una piccola corte, quella dei Caracciolo ma dove invece si riscontrava una quasi totale assenza dei ceramisti nei catasti onciari. Il Seicento vide la persistenza di motivi decorativi medievali e il rifiuto a recepire le mode. Si rileva, invece, l’influsso che la vetreria e la ceramica veneta ebbero sulla ceramica salentina in particolare su Grottaglie, dovuta a stretti rapporti commerciali. Il Settecento fu ricco di una produzione “faenzara” che si effigiò di grandi nomi, quali Francesco Saverio Marinaro (1705-1772) che realizzò su vasellami, spesso di uso farmaceutico quali per esempio gli albarelli, decorazioni o a fregi di gusto classico e neoclassico, utilizzando in particolar modo il color bleu, tendente al violaceo.
Altro famoso ceramista fu Ciro Lapesa (1756-1826) che la tradizione erroneamente vuole formatosi a Capodimonte, ma che sicuramente subì influenze dalla scuola napoletana, come testimonia una zuppiera conservata nella raccolta dell’ Istituto Statale d’Arte di Grottaglie, decorata con festoncini ed elementi floreali. L’Ottocento assistette ad una definitiva cessazione dell’attività artigianale ceramica in molti centri limitrofi, primo fra tutti Laterza, ma anche Martina Franca e Taranto, dovuta in particolar modo all’introduzione nel mercato di materiali alternativi quali i metalli e le materie plastiche. Grottaglie fronteggiò tale stato di crisi, mediante l’apertura nel 1887 della Scuola d’Arte la quale doveva dare un nuovo impulso tecnologico al settore e avviare una produzione più pregiata. Tra l’Ottocento e il Novecento molti artigiani fondarono laboratori in vari centri italiani creando vere e proprie scuole ex novo aiutate dall’introduzione di nuovi macchinari, quali la macchina francizolle, l’impastatrice, il tornio elettrico. Con lo scorrere del tempo, l’elemento che rimane costante è la distinzione delle diverse specializzazioni lavorative-produttive, mantenuta per tutto il novecento fino ad oggi, con le relative derivazioni e sottofiloni. Tali filoni sono dunque quelli dell’ arte capasonara e faenzara. Il primo, è definito anche in altri modi che si integrano o identificano: “roba gialla”, (contenitori destinati principalmente per uso comune quali per esempio contenitori biansati o brocche trilobate come gli struli o i quartaruni) sottoposta ad ingobbiatura, bagnata cioè in argilla cocente o colorata in giallo miele, ottenuto con l’uso di ossidi di ferro e piombo, la cui quantità viene dosata in base alla tonalità che si vuol dare alla superficie; e “roba rustica” (oggetti di uso domestico e contadino quali per esempio le craste per il bucato) sottoposta ad una sola cottura, senza vernice, da qui il suo nome “rustica”, che indica il carattere molto grossolano della sua fattura. Con arte faenzara, definita anche “roba bianca” si è soliti invece identificare una ceramica ingobbiata e invetriata superficialmente (gli altri appellativi sono “roba fine”, o “gentile” o “sottile” che indicano precise funzioni) sottoposta a maggior cura durante la lavorazione che dà forma ad oggetti di uso più elettivo, a volte esclusivamente decorativo (soprammobili, piastrelle decorate, pannelli, servizi da portata).
Per quanto riguarda i motivi decorativi bisogna dire che per la categoria capasonara, si predilige il monocolore, verde, marrone, giallo o bianco latte; su particolari giare viene effettuata una decorazione derivata dall’arte primitiva, che basa il suo effetto sull’impiego di due toni del medesimo colore o sulla irregolare colata di smalto che ricopre il recipiente solo sulla parte superiore. Di bellissimo effetto è anche la decorazione incisa, sempre di ascendenza primitiva, con i suoi motivi geometrici, quali linee, meandri, onde, spirali o floreali, molto semplificati. Sulla produzione faenzara, invece si può riscontrare ancora nel settecento l’influenza araba; rara, quasi inesistente è infatti la figura umana e quando compare, e ciò avviene nell’ottocento, essa rientra in quel filone artistico sviluppatosi sulla riscoperta del costume regionale. Più tipici e ricorrenti sono le figurazioni di animali quali il galletto, policromo, nei colori rosso, bleu, arancio, simbolo di virilità, di chiaro eco arabo, ma anche farfalle, volatili, e tutta la gamma dei fiori e dei frutti della terra pugliese. Motivi geometrici di greche in manganese o in cobalto son realizzati alcune volte come unico fregio dell’oggetto, in altri casi si accompagnano alle decorazioni figurate. In realtà ciò che distingue l’iconografia eseguita dal figulo grottagliese è la traduzione in una forma direi dialettale dell’iconografia colta, propria di alcuni centri importanti quali per esempio Faenza.
Il figulo grottagliese, infatti, usava ed usa ancora oggi una ricca tavolozza di colori quali il verde ramina, il verde frasca o il verde antico, il bleu cobalto, il giallo ocra ferruginoso e il bruno manganese che accosta seguendo esclusivamente il suo impulso creativo, immediato, spontaneo. Dove invece egli segue in maniera scrupolosa i canoni decorativi e tecnici del passato è nella decorazione di oggetti di tipo greco. Qui infatti, dopo un’attenta documentazione mediante la consultazione di testi specializzati, vengono riprodotti fedelmente sia i cromatismi tipici della coroplastica antica , a figure sia nere che rosse, che i motivi decorativi e le rappresentazioni sceniche spesso a tema mitologico o eroico.