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Francesco Antonio Caraglio

Foto di repertorio

NOME: Francesco Antonio
COGNOME: Caraglio
LUOGO E DATA DI NASCITA: 4 settembre 1627, Grottaglie
PROFESSIONE: Capitolo grottagliese
VITA: Francesco Antonio Caraglio nacque in Grottaglie il 4 settembre del 1627 da Giovanni Antonio notaio e da Rosa Aurifatis e battezzato il giorno seguente dall’ abate Cataldo Mannara, dottore in utroque jure e Cantore della collegiata, essendo padrini il dottor Donato Cesare e Vittoria di Natale.suo padre rogò in Grottaglie dal 1626 al 1670, come risulta ancora dagli atti che si conservano nell’ Archivio di Stato di Taranto. Apparteneva dunque a una famiglia agiata che gli permetteva di compiere gli studi e di intraprendere la carriera ecclesiastica. Riuscì, ad addottorarsi giovanissimo in diritto a Roma e a divenire canonico e arciprete della collegiata prima ancora di essere ordinato sacerdote. In effetti entrò tra i canonici a soli 20 anni e, nel 1648 precedeva il canonico Marco Faenza che pur era sacerdote, in virtù dell’anzianità nella dignità del canonicato. Nel maggio del 49’, insieme con due altri rappresentanti del clero, si recò a Taranto per l’ubbidienza a San Cataldo; il capitolo grottagliese venne multato nell’ occasione con 150 ducati perché avrebbe dovuto mandare almeno 10 persone; ma lo aveva fatto per non creare pregiudizio in una celebre questione di precedenza che vantava sul clero martinese e che lo stesso Caraglio difese magistralmente nella sua prima opera intitolata “Clypeus adversus Martinensium praetensiones”, scritta appunto in quegli anni.
Il 15 agosto 1649 fu eletto “Razionale” del capitolo. I razionali (erano quattro) avevano il compito di controllare ed “esigere ragione” dell’operato dell’economo, del procuratore dei morti, del tesoriere; assegnare le porzioni, assolvere o condannare gli inadempienti, ecc… Nel novembre dello stesso anno, insieme con D. Giacomo Blasi, si recò dal vescovo di Mottola per discutere un breve di esecuzione sulle “vigesime”. Nei mesi successivi gli vennero affidate diverse cause, questioni e liti di interesse del capitolo, segno inequivocabile che, nonostante la giovane età, i capitolari nutrivano la più ampia fiducia. Nel marzo 1650 lo troviamo già arciprete, a soli 23 anni. Il 1650 non fu un anno tranquillo, infatti, alcuni preti inviano al Nunzio di Napoli un memoriale contro altri preti, per cui si attende un commissario per istruire un processo.
L’arciprete Caraglio, che ha avuto notizia di tale movimento, si premura di fare una relazione all’ arcivescovo Caracciolo, allora a Roma, perché castighi come padrone benignissimo tali figli indegni di questo Capitolo. Sul finire del 1652 gli amministratori dell’Università, impongono sul macinato la gabella di una “cinquina per tumulo da macinare al posto della portulania”, anche ai preti che però ne informano l’arcivescovo perché gli tuteli nella loro immunità. Il periodo dell’alleanza  tra l’Università e il clero sembra tramontato. A difesa del diritto è senza dubbio l’arcivescovo Caracciolo, ma in prima fila nella rischiosa battaglia si troverà, perché investito dalla prima dignità capitolare, il giovane e coraggioso arciprete Caraglio. Intanto, nel 1653, il Capitolo affida al suo capo l’impegnativo incarico di mettere ordine nella confusa situazione e dei molti beni appartenenti alla chiesa per i quali v’erano contestazioni e liti in mancanza degli strumenti relativi al diritto di possesso; il vecchio registro non costituisce più un sicuro fondamento giuridico; è necessario quindi riordinare ogni cosa recuperando gli strumenti e, in mancanza di questi, annotando con dichiarazioni giurate il diritto su tali beni. Una fatica onerosa per la quale nell’ agosto del 54’ il Caraglio chiede collaborazione e aiuto; gli vengono così associati D. Francesco Antonio Blasi e D. Giovanni Antonio Salinaro notaio apostolico. In seguito si aggiunge pure d. Federico Lo Monaco. Due anni dopo due fatti turbano la comunità nei confronti rispettivamente del feudatario laico e dell’università. Vincenzo Velluti, Barone del “criminale”, proibisce con minaccia di carcerazione a tal Donato Antonio Mele e compagni di continuare a lavorare nella conceria sita nell’ abitato, appartenente al Capitolo che, perciò, ricorre, tramite l’arciprete, all’ arcivescovo.
Il governo dell’Università, invece, pretende toglierci il Datio della carne e perciò poichè nessuno avrebbe potuto far valere le ragioni meglio del “Signor Arciprete”, tutti gli si rivolgono perché assuma tale compito. Sembra quasi impossibile eppure Francesco Antonio Caraglio in anni carichi di occupazioni e oneri, trova il tempo per portare a termine un ambizioso disegno: la compilazione dello Status Insignis Collegiatae Ecclesiae Cryptaliensis, una raccolta ordinata e giuridica fondata di tutte le leggi, usi, consuetudini, diritti della Chiesa grottagliese. Caraglio intorno al 1650, aveva già scritto un’opera storica – giuridica sulla vecchia questione della precedenza sul clero di Martina, il Clypeus. Lo Status invece è lavoro di maggior impegno e dedizione rispetto al precedente. Il Capitolo non poteva non accettare con entusiasmo la fatica dell’ottimo arciprete, perciò si concluse che tutti i suoi volumi venissero stampati, a qualunque prezzo. Purtroppo, di stampa non se ne parlò più perché, come venne annotato su una copia tardiva dello Status colui che perseguitò lo stesso autore fino alla morte, fece in modo tale e si preoccupò che i due volumi non fossero dati alle stampe.
Il 15 agosto 1661 il capitolo discute sul caso di un tale Leonardo La Pace, molestato dagli amministratori perché togliesse la bottega della carne dalla piazza ; era un doppio attacco all’ immunità in quanto la bottega apparteneva al Capitolo e serviva quindi per controllare il dazio della carne. La situazione ormai precipita. Alcuni giorni dopo si riprese la questione concludendo di resistere alla palese provocazione. Si ricorrerà quindi nuovamente al superiore ecclesiastico di Taranto, Napoli e Roma per rappresentare tanti aggravi e ingiustizie, che vengono fatti giornalmente ai preti. Il 15 novembre 1661, al Capitolo prendono parte soltanto 51 sacerdoti e canonici; molti quindi gli assenti, segno della paura che coglie diversi ecclesiastici nel frangente.
Prende la parola l’arciprete per fare il punto e ragguagliare la Chiesa sulle provocazioni e violenze a danno non solo degli ecclesiastici, ma anche dei familiari. Il 30 novembre 1661 vi fu l’ultima apparizione in Capitolo del giovane prelato grottagliese. Si trattò proprio di vendere al Principe di Cursi le botteghe nella piazza, che erano state all’ origine di un così grave turbamento, per poter egli ampliare il palazzo baronale. Il Caraglio, nel raccomandare l’utilità della Chiesa e nel contempo la soddisfazione del principe, propendeva per l’assenso, ma incaricò una commissione di studiare bene la cosa. Nelle successive conclusioni egli non compare più, per cui è lecito supporre che minacciato di morte e prevedendo la sua fine, abbandonasse Grottaglie per recarsi in Francavilla, forse presso parenti. Il 2 aprile 1662, certamente per ulteriori pressioni e intimidazioni, non si potè fare il Capitolo, nonostante i presenti. Il 22 maggio il tragico epilogo: l’assassinio dell’arciprete in Francavilla per mano sicaria.
L’arcivescovo Caracciolo, ormai vecchio e addolorato, s’adoperò di far luce sul gravissimo episodio ma, cosa normale per quei tempi, senza alcun risultato. Il principe Cicinelli, venne sì inquisito, ma non si riuscì a condannarlo. L’atto di morte, recita freddamente: “ Il S. D. d. Francesco Antonio Caraglio, Arciprete delli Grottaglie passò a miglior vita e fu sepolto nella Collegiata con pompe funebri il 22 maggio 1662”.

OPERE

Il dotto e coraggioso arciprete grottagliese scrisse due opere che rimasero manoscritte per opposizione del feudatario laico di Grottaglie, ma che si sono conservate, grazie alle molte copie che si ebbe cura di fare:
  • Clypeus adversus Martinensium praetensiones, in due parti, “Il possessorio” (ossia la difesa) e il “Petitorio” (cioè l’accusa): l’opera è rivolta verso i martinesi a proposito della pretesa di quel clero circa la precedenza e la preminenza.
  • Status Insignis Ecclesiae Collegiatae Crypatliensis, in due tomi.
FONTI BIOGRAFICHE: Grottaglie nel tempo, Rosario Quaranta.

San Francesco De Geronimo

Immagine di repertorio

NOME: Francesco

COGNOME: De Geronimo

DATA DI NASCITA: 17 dicembre 1624               

LUOGO: Grottaglie

PROFESSIONE: Santo

VITA: da Gentilesca, figlia d’Orazio Gravina e Fiorenza Scardino, che all’ età di ventun’anni contrasse matrimonio con il ventitreenne Giovanni Leonardi De Geronimo, nacque Francesco il 17 dicembre 1624, a ore 21.00 circa nel mercoledì delle tempore d’avvento.
Il giorno seguente venne battezzato da Don Nicolò Ciracì, sacerdote della colleggiata di Grottaglie. Tale chiesa , più volte sottoposta all’ opera vandalica, conserva ancora compatto e alquanto trasformato il Battistero, di fronte al quale egli ricevette la vita divina dell’anima, ed ora sorge un altare a lui dedicato.
La famiglia del Santo, che i contemporanei qualificano onorata e decorosa, da molteplici documenti d’archivio appare una delle più ragguardevoli della regione. Il primo catasto onciario di Grottaglie, che risale al 1447 registra i De Geronimo, fra i migliori proprietari del paese. La famiglia era composta da undici fratelli tutti dediti alla religione cattolica, che occupavano posti di alto prestigio nell’ ordine ecclesiastico. Il genitore del santo Francesco si mantenne al livello dei suoi padri, infatti secondo la relazione autografa del gesuita De Franchis, datata 1716, egli sarebbe stato notaio. La casa natia del santo è ubicata alla via Spirito Santo, nei pressi dell’attuale Santuario eretto a suo nome.
La casa specchio della vita , rivela il costume semplice e senza lusso di chi la abitava. La casa del santo fu acquistata dal Duca delle Grottaglie; principe di Cursi, per formarvi una chiesa subito dopo che il padre Francesco fu beatificato. Oggi appunto su quella dimora benedetta, si leva un magnifico tempio, costruito nel 1837, dono di grottaglie al suo cittadino più grande.
Un’altra parte dell’area dove sorge la casa della famiglia , è occupata dalla dimora dei confratelli del santo e protettore di grottaglie, ed il suo luogo natio è divenuto meta di numerosi pellegrini che giungono da ogni luogo. Uno dei tanti miracoli avvenuti durante la fanciullezza del santo, nella sua casa, è documentato da persona dell’epoca. Si racconta, che nella casa ove nacque, viene mostrata una dispensa ove la mamma soleva custodire l’infornata di pane settimanale (armadio questo dai battenti consunti per la pia rapacità dei devoti), fu testimone di un avvenuto prodigio autenticato nei processi canonici. Il santo fanciullo era solito distribuire ai poveri pane ed altri commestibili che gli capitassero tra le mani, sino ad esaurirne la provvista.
Un giorno rimproverato dalla mamma per aver dato tutto il pane egli esortò ella ad aver fede nella provvidenza, infatti nel riaprire i battenti della madia la ritrovò sovraccarica di pane i quantità maggiore di quello prima esistente. Si gridò al miracolo. Francesco ad otto anni teneva già lezioni di catechismo ed accompagnava frequentemente i padri nelle loro missioni di pellegrinaggio. Nel 1641 entrò a far parte di una associazione di sacerdoti al grande riformatore del clero; Gaetano da Tiene; questi senza voti religiosi e padroni ciascuno delle proprie azioni, contribuivano alle spese comuni, vivevano regolati da una vita semplice di gran bontà, ascoltavano confessioni, insegnavano la dottrina quotidiana, istruivano gratuitamente i fanciulli nelle lettere, predicavano nelle campagne e procuravano il bene delle anime. Questa provvida istituzione scomparve da Grottaglie nel 1688, mentre al tempo del giovinetto Francesco era nota nella regione con il nome di “Comunità”. Questa prima esperienza mistica influì definitivamente sulla sua decisione e rafforzò in lui quella vocazione verso i principi che lo esalteranno successivamente per lo spirito di sacrificio e la bontà verso la società.
Iniziò gli studi a Taranto ove trascorse gli anni della sua adolescenza, nella Cattedrale, nel Seminario e nell’ ex Collegio dei Gesuiti, qui acquistò anche una vera maestria nel costruire quei fini intarsi di paglia colorata che erano una specialità della sua Terra d’Otranto. A Taranto e successivamente a Napoli si perfezionò nell’ arte della pittura.
Fu fervente devoto della Madonna della Salute a Taranto, della Madonna della Mutata a Grottaglie, della Madonna detta dell’Assunta a Napoli, che segnerà l’ultimo periodo della formazione sacerdotale di Francesco. La Madonna dell’Immacolata sarà l’insegna del suo apostolato. Superati felicemente gli esami scolastici, egli viene ammesso contemporaneamente agli Ordini Minori ed al Suddiaconato l’anno 1664. Il 6 novembre 1663 fu turbato dalla morte della madre a seguito della nascita dell’undicesimo fratello, che divenne poi Arciprete di Grottaglie. A Napoli, nella capitale si dedicò agli studi universitari e studiò diritto canonico e civile . Il Collegio Napolitano della Compagnia, pur equivalendo in pratica alla università per le altre materie, non aveva queste due cattedre e dovette seguire le lezioni private dei convittori di cui era Prefetto, si laureò in queste due facoltà. A Napoli frequentò pure, quella celebre scuola di di pietà sacerdotale e di addestramento dell’apostolato che era la Congrecazione Mariana dei Chierici detta la Conferenza, sotto il titolo della Madonna Assunta; dalla quale per circa due secoli uscirono i migliori sacerdoti del Mezzogiorno d’Italia. Il 20 marzo 1666 il Vescovo di Pozzuoli Don Benedetto Sanchez de Herrea, nella Cappella del Palazzo episcopale di Pozzuoli ha ordinato al Sacro Ordine del Presbiterato il diacono Francesco De Geronimo nativo di Grottaglie e della diocesi di Taranto. Con brevi e semplici parole venne così registrato l’avvenimento più grande della vita di Francesco, ed insieme ad essa l’opera più eccelsa di Dio nel mondo. In tale occasione gli facevano corona altri sette ordinandi, un tonsurato, un minorista e cinque diaconi, i cui nomi si leggono acconto al suo.
Per sollevare dal suo stato di decadenza la nobiltà, era stato fondato a Napoli, fin dall’ inizio del secolo XVI; il celebre Collegio dei Nobili il cui grandioso edificio si vede ancora a Via Nilo. Guidati da apposite regole vi si educavano i giovani aristocratici o per lo Stato Ecclesiastico o per la carriera politica, o per la famiglia, sotto la guida dei padri della Compagnia di Gesù. Per la stima, l’ingegno e la virtù, che i gesuiti di Taranto avevano rivelato in Francesco, quelli del Convitto dei nobili, lo invitarono a coadiuvarli nell’ ufficio di istitutore. Francesco assunse tali delicati incarichi con tutta la serietà e senso di responsabilità della sua coscienza sacerdotale e gli espletò per cinque anni con soddisfazione di tutti. Appena compiuto il primo anno di noviziato, il 2 luglio 1671, in compagnia del padre bruno, a piedi (come solevano viaggiare i gesuiti) da Napoli diretti a Lecce dopo aver camminato per circa 500 chilometri, attraverso fertili agri, aspri monti ed erte colline, nonché per centri agricoli e costiere deserte; come a ripetere l’appello di San Luca Evangelista: – la Messe è molta e gli operai sono pochi-. De Geronimo fece il suo ingresso a Lecce per l’antica porta di San Giusto. La Comunità che l’accolse, oltre ad essere un gran centro di apostolato, era una delle più adatte per chi venisse a completarvi il Noviziato della vita religiosa. Il 2 luglio 1672, festa della Visitazione si consacrò a Dio con i voti religiosi di povertà, castità ed obbedienza. Fin da quando Francesco era prete secolare, caldeggiò vivamente la devozione dei napoletani per il Saverio.
Durante il 1675, prima di iniziare la missione di napoli, il de Geronimo ritornò da Lecce al Collegio Massimo per compiere il corso teologico. Successivamente chiese al generale di essere inviato a predicare nell’ Abruzzo e nella calabria, regioni allora ancora più colte della stessa Puglia. Non avendo ricevuto l’ordine di dedicarsi alle Indie Napoletane, ubbidendo al generale, il de Geronimo dal 1676 al 1716 svolse la sua attività ecclesiastica con grande impegno, degna dello stesso “Saverio”, fino ad esaurirsi fisicamente. San francesco aveva fatto della sua congrecazione una famiglia di cui lui era il padre, innanzitutto spirituale, che curava e plasmava le anime una per una. Si interessava delle famiglie componente per componente, consigliava nei dubbi, confortava nelle pene, sovveniva in ogni loro bisogno, prendeva le difese contro gli oppressori dl popolo e degli operai, visita e faceva curare a sue spese dal medico della congrecazione nelle malattie, li assisteva nelle ore estreme e provvedeva persino alla loro sepoltura. Fin dal suo letto di morte Francesco mandò loro indumenti e regali e molte volte compì dei miracoli per soccorrerli.
All’ approssimarsi della festa di San Ciro, che celebrerà dal cielo nell’ anno 1716 e che egli aveva istituito dal 1693 con una solenne cerimonia, espresse il desiderio di sostituire la statua del Santo in legno, con un’altra in argento purissimo; e solo dopo oltre venti anni, l’opera fu compiuta da un’insigne artista, con le offerte dei devoti e portata presso il letto del morente. Il corpo del “Missionario” fu deposto sotto l’altare dedicato a Sant’ Anna e alla Vergine, ove egli aveva celebrato per quarant’ anni abitualmente la messa, proprio in quella cappella delle reliquie dove i corpi dei centosettanta martiri e del suo San Ciro, da lui tanto onorato in vita, lo circondano come in trionfo, dai bronzi delle due pareti laterali. Ad immortalare la figura del Santo, lo scultore Francesco Jerace, scolpì un’artistico gruppo marmoreo l’11 febbraio 1932. Il 26 maggio 1839 Padre Francesco fu dichiarato Santo in San Pietro da Papa Gregorio XVI e per 229 anni riposò nella chiesa del Gesù nuovo a Napoli. Solo nel 1946 il suo corpo fu trasportato nella natia Grottaglie e riposto nella cappella a lui dedicata nella chiesa costruita nel 1837 con l’offerta di numerosi devoti, i quali gli anno eretto una statua in argento simile a quella di San Ciro e lo festeggiano solennemente il 1° settembre come patrono.
 
 
 
FONTI BIOGRAFICHE: “Guida di Grottaglie”.