Tutte le tradizioni che fanno parte della storia di Grottaglie

Feste Religiose

Scatto utilizzato per il concorso fotografico della Pro Loco di Grottaglie

-Feste dedicate a San Francesco di Paola nei mesi di Giugno e Settembre.

-Festa della Madonna di Mutata: la prima domenica successiva alla Pasqua.

-Festa di San Ciro. Santo patrono della città di Grottaglie, che si festeggia il 31 Gennaio con tre solenni processioni penitenziali ( a piedi scalzi), due delle quali per il trasporto della statua del Santo dalla Chiesa di San Francesco di Paola alla Chiesa Madre la domenica che precede il 31 Gennaio, e nel percorso inverso la domenica che segue suddetta data. Nel giorno dedicato al santo patrono, invece, la processione più importante si snoda nel centro storico e per le vie principali della città con accompagnamento musicale;la statua del Santo viene portata anche tra gli ammalati in ospedale, mentre i fedeli aspettano pregando in coro nel piazzale sottostante. Vengono inoltre preparate due enormi pire (foc’re), fatte con sarmenti penitenziali di vite e fascine di ulivo; la più grande nella piazza dedicata al Santo viene accesa la sera del 30 ed il fuoco arde per tutta la notte; la seconda, allestita in uno spiazzo,piazzale S.Elia, vicino al presidio ospedaliero, viene accesa la domenica successiva, al rientro della statua nella sua abituale dimora

        -Caratteristica è la processione con incappucciati (bùbble-bùbble), del venerdì Santo.

        -Festa di San Francesco De Geronimo: prima settimana di settembre.

        -Festa di Santa Maria in Campitelli: prima settimana di settembre.

Tradizioni Perdute

Battaglia giocosa   

RICORRENZA: Battaglia Giocosa

PERIODO: dal  1570 sino al 1787 circa

LUOGO: Grottaglie

PROMOTORE: Il Vescovo Brancaccio

STORIA: Nel secolo XVI non mancavano motivi di preoccupazione, specie nelle zone costiere italiane, per le frequenti incursioni turche, anche dopo la Battaglia di Lepanto del 1571, per cui venivano impiegate molte forze anche di cavalleria, per sorvegliare i litorali presidiati da molte torri di guardia. Aggregato a uno squadrone di cavalleria si trovava il nostro Pietro D’Onofrio (nato nel 1526 a Grottaglie), mentre era di stanza sulla costa calabra nei pressi di Rossano. Qui egli fu protagonista di un episodio eroico così narrato da Ciro Cafforio: << All’alba di un giorno di primavera dell’anno 1575 una flotta di vele barbaresche sbarcò un buon nerbo di pirati con l’evidente intenzione di razziare il territorio. Le vedette della torre dettero il segnale e ben presto il plotone fu agli ordini del comandante (…). Già i due reparti sono in contatto, l’urto avviene ed è formidabile. La masnada turca momentaneamente si sbanda, ma incitata dal suo capo, rinserra le file, si riordina e levando un pauroso grido selvaggio tenta una manovra di aggiramento per sopraffare il valoroso squadrone. Molti maomettani cadono sotto i colpi ben aggiustati dei nostri, ma parecchi cristiani sono balzati di sella, hanno il cavallo ucciso e giacciono feriti mortalmente al suolo. Il momento è terribile. Sembra che il numero debba aver ragione sul valore. Al centro intorno alla bandiera della Mezzaluna, dove certamente si trova il capo dei pirati, si accende una pugna furibonda. In quel punto il comandante dello squadrone fa prodigi di valore, ma purtroppo ci lascia la vita. La perdita è grave (…). Pietro D’Onofrio, allora, con un atto di volontà che solo la fede può produrre, prende il comando del plotone al quale ordina di arretrare. Al riparo di alcuni alberi riordina i superstiti commilitoni, li anima e rincuora e ad alta voce formula una preghiera e un voto: – O Vergine prodigiosa della Mutata, aiuta i figli tuoi! Le insegne dei nemici della cristianità saranno depositate nel tuo tempio a ricordo della tua protezione. Indi con la spada in pugno comanda: – Avanti, in nome di Dio e della Vergine della Mutata! Le prime file dei turchi attendono con orgogliosa sicurezza il nuovo assalto, che questa volta fu un vero colpo di maglio: furono travolte. Il nostro Pietro, alla testa del pugno di valorosi semina la morte tra i nemici; ha già raggiunto lo stendardo della Mezzaluna, con un fendente aggiustato colpisce a morte colui che sembrava il comandante e strappa la bandiera dalle mani del vessillifero. Alte grida di gioia sollevano i cristiani, incitandosi a vicenda in uno sforzo disperato. I pirati vacillano, tentano l’ultima resistenza, ma presi da panico contagioso, prima indietreggiarono e poi fuggirono in disordine verso il mare, che questa volta abbandonarono precipitosamente col danno e con lor scorno. I trofei della vittoria furono il turbante di seta del capo pirata e lo stendardo con la Mezzaluna (…). Per questo fatto d’arme il nostro Pietro fu promosso al grado di sergente>>. 

Ritornato al paese natio, nello stesso anno, il D’Onofrio mantiene la promessa e depone ai piedi della sua Ausiliatrice la <<bandiera, seu insegne, seu vexillum unum… tobalia una serico elaborata quam dicunt “lo turbanti”>>. E perché non si perdi la memoria di tale mirabile accadimento, il Vescovo Brancaccio propone che si celebri tale vittoria con una “guerra giocosa” (proelium jocosum) , da farsi nel bosco che circonda il Santuario della Madonna di Mutata di Grottaglie. Così da quell’anno, ogni lunedì dopo la Pentecoste, divisi in due fazioni (Turchi e Cristiani) e radunatisi nella Piazza Maggiore del Paese (a Grottaglie Piazza Regina Margherita), i contendenti, in perfetta formazione militare si recano al Santuario fuori dal centro abitato e, dopo aver ascoltato la messa ed essersi comunicati, raggiungono una vicina spianata, disponendosi in formazione di battaglia. La medesima si divide in due azioni: alla prima partecipa la fanteria, alla seconda la cavalleria. Vince, naturalmente chi invade il campo avversario. Finita la battaglia, vincitori e vinti, stanchi ed esausti, contenti e rammaricati, consumano “taralli e palomme” all’ombra di centenarie querce, sorseggiando dei fidati “cucchi” rosse gocce di “primitivo”. Sull’imbrunire, a conclusione, “la stessa truppa” si riordina in paese e, con “gli stessi strumenti militari” forma una processione che gira per le vie del paese.

La finta battaglia attira subito l’attenzione dei paesi vicini e per imitazione viene istituita a Taranto il 10 maggio, a Martina Franca il 17 luglio, a Massafra la prima domenica di maggio, ad Ostuni il 26 agosto.

Nel 1787, per un denuncia anonima in cui viene coinvolto l’Arcivescovo mons. Capecelatro (simpatizzante, tra l’altro, per i Giacobini),, la “battaglia giocosa” viene abolita perché <<si è offeso il decoro della vera e regolare milizia>> e contravvenuto <<alla venerazione dell’impresa del re>>.

Pur rammaricati per la fine della loro tradizione civile e religiosa, i grottagliesi , a ricordo ed orgoglio del loro antenato, trasformarono la battaglia in una semplice processione con le torce in abiti borghesi e con candele accese (da qui il nome “torciata”). Ed in siffatto modo è praticata fino al 1935, tra bianche case di calce, quando un pingue centurione della milizia, dopo essersi toccato il fez nero, celebra le lodi dell’italico valore del sergente di cavalleria, antesignano di belliche virtù.

Perduta la festa abbiamo almeno le effige del suo fattore. Nella sagrestia della chiesa di San Francesco di Paola esiste una tela divisa in tre quadrilateri, ove campeggia la figura dell’eroe su di un cavallo bianco, quindi col ginocchio destro a terra mentre rende grazia alla vergine ed infine con  la bandiera a mezzaluna (turca) e la scimitarra nelle mani.

 

Giochi popolari grottagliesi

salta cavallo, giochi popolari di Gaspare Mastro

La “moscacieca”. Esso consisteva nel bendare gli occhi con una fascia o un fazzoletto ad un bambino. Fattogli fare tre giri attorno a se stesso, egli doveva indovinare e prendere sia quelli che gli erano intorno sia la persona che l’aveva fatto girare.

 

“Li quattro cantuni” (i quattro cantoni). Tale gioco veniva fatto da 5 persone e consisteva nel far disporre 4 persone ai 4 angoli di una stanza, mentre una quinta persona doveva rimanere al centro. Una volta iniziato il gioco, la persona che era al centro doveva cercare di occupare un angolo.   

 

La “cicla” (il cerchio). Gioco che consisteva nel tracciare prima un cerchio per terra e poi nel lanciare, da una certa distanza, soldi o bottoni per fare centro nel cerchio. “Sciucam’a lla cicla”! (giochiamo alla cicla!). Dal gr. Kyklos,  χύχλos, cerchio.

 

“Lu Currùculu” (la trottola). Trottola di legno a forma rotonda con una punta metallica infissa ad una estremità. Si avvolgeva a spirale un filo di spago; quindi tenendo stretto tra l’anulare e il mignolo il capo della cordicella, si prendeva la trottola tra il pollice e l’indice della stessa mano e la si lanciava con forza per terra. Lo spago svolgendosi, le imprimeva un movimento rotatorio e questa girava sulla punta appena toccata terra. Plur. m.: li currucli, (le trottole). Sciucam’ a llu currùculu! (Giochiamo alla trottola!).

Dal lt. curru+rutulus o curruculus. Cfr F. Ribezzo, op. cit. e N. Gigante Diz.. cit.(v “curruchele”).

 

La “Cicirina”. Personaggio mitico di una filastrocca per bambini che recitava “cicirina cicirina  faci l’uéu ogni matina e llu puert’a lla reggina/ la riggina no vò/cucuzziellù e ppummalò”. (Cicirina cicirina, fai l’uovo ogni mattina, e lo porti a la regina, la regina non lo vuole, zucchina e pomodoro. La mamma recitava questa filastrocca per invitare il bambino a mangiare l’uovo.

 

“Ciclittòmma” (capitombolo, capriola). Dal gr. Kyklos χύχλos, + tombèo ĉoμβαω, cadere girandosi, cioè dopo aver fatto un giro su se stesso.

 

Guardia e ladri. Gioco composto da due squadre: i ladri non dovevano farsi prendere dalle guardie!

 

Gare con monopattino. Gare fatte dai bambini con monopattini costruiti anche a forma di “carruzzuni” (carrozzoni).

 

Ruota di bicicletta. Gioco fatto con la ruota senza “copertone”. Attraverso un’asta di ferro, veniva usata l’asticina di un ombrello e in tal modo si faceva girare la ruota di bicicletta.

 

“Lu sciueco di lu scaffo” (gioco dello schiaffo). Consisteva nell’individuare la persona che aveva tirato lo schiaffo quando si era girati.

 

“Lu sciueco di lu fazzoletto” ( gioco del fazzoletto). Si costituivano due squadre e si attribuiva un numero ad ogni componente. Una persona, posta a metà strada tra le due squadre schierate, chiamava un numero e le persone, cui quel numero è stato attribuito, correvano a prendere il fazzoletto. 

 

“La tene” (la tiene, consisteva nel non farsi toccare altrimenti se la “teneva”!!!).

 

“Scunnicoa”: il classico nascondino.

 

Campana. Consisteva nel disegnare col gesso per terra un sorta di pista numerata in cui, lanciata la pietra nei quadranti, si saltava.