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Racconti e leggende

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LEGGENDE DI GROTTE

Il termine grotta, sin dai tempi più remoti, ha sempre provocato, di generazione in generazione, un senso di paura, alimentando leggende e tradizioni popolari che si sono radicate nel patrimonio culturale grottagliese. Ancora oggi è possibile ascoltare dalla viva voce degli anziani, racconti di tesori, volgarmente detti “acchiature”, storie di chilometriche e profonde grotte e infine leggende sull’utilizzo delle grotte da parte di creature di indole cattiva. Fra le varie storie raccolte vene sono alcune caratterizzate da particolari atmosfere che attirano e danno spazio a magiche fantasie.

Oggi, purtroppo, rimane ben poco di quelle narrazioni che sono un piccolo ma importantissimo contributo a memoria di un’antica cultura contadina ormai quasi completamente scomparsa:

 

Grotta di Quinto Ennio

In tempi passati alcuni avventurieri muniti di fiaccole si addentrarono di notte nella grotta per esplorarla. Durante il loro tortuoso cammino ed in occasione di un piccolo bivacco, uno di loro si addentrò in un cunicolo e si assentò per un po’ di tempo. Al suo ritorno riferì ai suoi compagni di aver raggiunto attraverso sconosciute vie sotterranee, il Santuario della SS. Maria Madonna della Mutata, distante cinque chilometri.

 

Grotta Cripta di Riggio

Durante gli anni delle persecuzioni iconoclastiche, alcuni monaci provenienti dall’Oriente utilizzarono alcune cavità della gravina come propria dimora. Si racconta che questi, portando con loro un’ingente quantità di oro e pietre preziose le nascosero in una nicchia che venne murata e affrescata. Successivamente dei poveri illusi cercarono invano quelle ricchezze, bucando qua e là le pareti della grotta e danneggiando irreparabilmente molti degli affreschi tramandati dal Medioevo.

 

Buca delle palme

Si racconta che un cacciatore in battuta con il suo cane, sparò ad un passero che cadde nella voragine. Questi mandò il suo fedele amico a recuperare l’uccello. Purtroppo il can venne risucchiato da un fantomatico fiume sotterraneo e non fece più ritorno dal suo padrone.

 

Grotta della cornola

Si dice, che da tempo immemorabile, i contadini del luogo gettano nella grotta gli animali morti per malattie. A tal proposito, si narra che circa un centinaio di anni fa un tale ne abbandonò uno morente all’ingresso della cavità. Il giorno seguente, incuriosito, ritornò e si accorse che la carcassa dell’animale era scomparsa. Sorpreso dall’accaduto, allarmò prima la sua famiglia e poi gli amici che non diedero però molto credito all’accaduto. Qualche tempo dopo un evento analogo capitò ad un pastore che vi gettò una pecora. Il racconto vuole che il malcapitato avesse udito dall’interno della grotta degli strani ruggiti. In gran fretta si sparse la voce di una malefica creatura che si rifugiava nell’oscurità per mangiare gli animali che vi venivano gettati. Chiunque fosse entrato nella cavità per recuperare un oggetto o un animale smarrito, sarebbe stato divorato, a meno che non portasse con sé una catenina del Santo rosario o un’iconografia sacra.

Si pose fine ai pericolo gettando nella cavità una statuetta della vergine Maria che fece bruciare la demoniaca creatura.

 

  • Jattumamòni (gattomammone, essere mostruoso, demoniaco che si aggira nella natura e nel buio; parola usata dai nostri nonni per far intimorire i bambini e renderli più quieti: “statti cittu, ci noni véni Jattumamòni!”, stai zitto, altrimenti viene gattomammone!).

 

  • Lupu mannaro (licantropo, lupo mannaro, uomo che urla come un lupo per le vie durante la notte). Il lupo mannaro, che deriva dal basso latino lupus hominarius, è quel malato che nella notte di luna piena, ritiene di trasformarsi in lupo, di cui imita l’andatura a quattro zampe e gli ululati…provate ad immaginare! Questo paziente che durante le crisi è assalito da malinconia e da isterismo, è noto in psicopatologia con il nome di licantropo. Licantropo deriva dal greco Licaone, re dell’Arcadia e padre di cinquanta figli, tra cui quel Pencezio che, passato in Italia, diede il nome al territorio pugliese Pencezia, corrispondente, grosso modo, alla provincia di Bari. Secondo una leggenda; Licaone, dopo aver immolatop in onore di Zeus un bimbo, per l’empietà compiuta, fu trasf0rmato in lupo da Zeus stesso. La leggenda greca ed il conseguente mito arrivarono in Puglia forse con Pencezio e qui forse assunse quelle due nature che gli attribuisce la tradizione, una bestiale e brutta e l’altra umana.

Cfr. G, Interesse, Puglia mitica, Schena editore, Fasano, 1983.

 

Grave dei gufi

Si narra che nella voragine, un tempo profonda centinaia di metri, venne gettato dai briganti un contadino. Sembra che l’ombra del pover’uomo uscisse di notte nella grave per aggirarsi nelle strade di campagna alla ricerca dei suoi assassini.

 

Grotta Montepizzuto 1

Il custode della cava narra che, al momento della sua scoperta, dei cavatori, muniti di lampade ad olio, si addentrarono nella grotta, percorrendola per circa 100 metri. Fermatisi dinanzi all’imbocco di un enorme pozzo, lo misurarono con una corda lunga più di 300 metri che non sondò del tutto la voragine. Impauriti da quel tenebroso ignoto, gli esploratori uscirono in gran fretta giurando di non rientrarvi mai più.

 

Leggenda raccontata da don Cosimo Occhibianco

Una leggenda grottagliese narra che un ladro, notte tempo, penetrò nella chiesa collegiata per rubare tutti gli ex voto di oro, posti in una bacheca nella cappella di S.Ciro. Per la fretta aveva dimenticato di prendere la reliquia posta sul petto del Santo, allora salì sull’altare e mentre stava per prenderla, una mano misteriosa e forte lo afferrò per il petto e lo trattenne fino a quando, al mattino, giunse la forza pubblica per consegnarlo alla giustizia. I grottagliesi in seguito a questa leggenda coniarono il detto: va rrubb’a Santu Ggiru, ca ti zzécca pi ppiéttu.

  DI GROTTAGLIE, autore: Cosimo Calò

Ceramus, figlio di Bacco e Arianna, è secondo alcuni il prototipo e il protettore dei vasai; il suo nome fu imposto al quartiere di Atene occupato dai ceramisti. Altri attribuiscono l’invenzione dell’arte ceramica all’ateniese Coroebus o al corinziano Hyperbius o al cretese Talos, nipote di Dedalo. Omero, descrivendo la danza di Arianna, paragona la velocità dei giovani formanti cerchio a quella che il vasaio imprime alla ruota del suo tornio. Un brano attribuito al cieco immortale, riprodotto in una biografia composta, dicono, da Erodoto, esprime tutto ciò che la cottura dei vasi può presentare di eroico o di nefasto: dei vasai, intenti a accendere il fuoco nel forno, scorsero Omero e lo invitarono a cantar loro dei versi, promettendogli, quale prezzo della sua compiacenza, qualche vaso, ed Omero cantò: “Minerva, io ti invoco! Compari qui e presta la tua mano abile al lavoro del forno; che i vasi che vi debbano uscire, e soprattutto quelli destinati alle cerimonie religiose, anneriscano a punto; che tutti si cuociano al grado di fuoco conveniente e che, venduti caramente, siano essi ed in gran numero sui mercati e nelle vie della nostra città; infine che essi siano per i vasai una fonte abbondante di profitto e per me una occasione nuova per cantarti. Ma se voi volete ingannarmi, o spudorati, io invoco contro i vostri forni i flagelli più terribili: e Syntrips e Smaragos e Asbestos e Abactos e soprattutto Omodamos, che più di ogni altro è il distruttore dell’arte che voi professate, che il fuoco divori la vostra fabbrica, che tutto ciò che contiene il forno si mescoli e si confondi senza scampo, e che il vasaio tremi di terrore a questo spettacolo, che il forno faccia sentire un rumore simile a quello che fanno le mascelle di un cavallo irritato, e che tutti i vasi fracassati non siano più che un ammasso di cocci”.

 

Leggenda del Laùru

Si diceva, e ancora oggi i nonni ci raccontano, che il laùru era un folletto che veniva di notte a fare i dispetti. Egli è noto per i “nodi ai capelli” e per le trecce alle criniere dei cavalli. Si è soliti narrare anche che se una persona riesce a togliergli il cappelletto, diventa ricco (immaginate che fortuna!!!).