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Giochi popolari grottagliesi
/in Tradizioni /da f.frisaLa “moscacieca”. Esso consisteva nel bendare gli occhi con una fascia o un fazzoletto ad un bambino. Fattogli fare tre giri attorno a se stesso, egli doveva indovinare e prendere sia quelli che gli erano intorno sia la persona che l’aveva fatto girare.
“Li quattro cantuni” (i quattro cantoni). Tale gioco veniva fatto da 5 persone e consisteva nel far disporre 4 persone ai 4 angoli di una stanza, mentre una quinta persona doveva rimanere al centro. Una volta iniziato il gioco, la persona che era al centro doveva cercare di occupare un angolo.
La “cicla” (il cerchio). Gioco che consisteva nel tracciare prima un cerchio per terra e poi nel lanciare, da una certa distanza, soldi o bottoni per fare centro nel cerchio. “Sciucam’a lla cicla”! (giochiamo alla cicla!). Dal gr. Kyklos, χύχλos, cerchio.
“Lu Currùculu” (la trottola). Trottola di legno a forma rotonda con una punta metallica infissa ad una estremità. Si avvolgeva a spirale un filo di spago; quindi tenendo stretto tra l’anulare e il mignolo il capo della cordicella, si prendeva la trottola tra il pollice e l’indice della stessa mano e la si lanciava con forza per terra. Lo spago svolgendosi, le imprimeva un movimento rotatorio e questa girava sulla punta appena toccata terra. Plur. m.: li currucli, (le trottole). Sciucam’ a llu currùculu! (Giochiamo alla trottola!).
Dal lt. curru+rutulus o curruculus. Cfr F. Ribezzo, op. cit. e N. Gigante Diz.. cit.(v “curruchele”).
La “Cicirina”. Personaggio mitico di una filastrocca per bambini che recitava “cicirina cicirina faci l’uéu ogni matina e llu puert’a lla reggina/ la riggina no vò/cucuzziellù e ppummalò”. (Cicirina cicirina, fai l’uovo ogni mattina, e lo porti a la regina, la regina non lo vuole, zucchina e pomodoro. La mamma recitava questa filastrocca per invitare il bambino a mangiare l’uovo.
“Ciclittòmma” (capitombolo, capriola). Dal gr. Kyklos χύχλos, + tombèo ĉoμβαω, cadere girandosi, cioè dopo aver fatto un giro su se stesso.
Guardia e ladri. Gioco composto da due squadre: i ladri non dovevano farsi prendere dalle guardie!
Gare con monopattino. Gare fatte dai bambini con monopattini costruiti anche a forma di “carruzzuni” (carrozzoni).
Ruota di bicicletta. Gioco fatto con la ruota senza “copertone”. Attraverso un’asta di ferro, veniva usata l’asticina di un ombrello e in tal modo si faceva girare la ruota di bicicletta.
“Lu sciueco di lu scaffo” (gioco dello schiaffo). Consisteva nell’individuare la persona che aveva tirato lo schiaffo quando si era girati.
“Lu sciueco di lu fazzoletto” ( gioco del fazzoletto). Si costituivano due squadre e si attribuiva un numero ad ogni componente. Una persona, posta a metà strada tra le due squadre schierate, chiamava un numero e le persone, cui quel numero è stato attribuito, correvano a prendere il fazzoletto.
“La tene” (la tiene, consisteva nel non farsi toccare altrimenti se la “teneva”!!!).
“Scunnicoa”: il classico nascondino.
Campana. Consisteva nel disegnare col gesso per terra un sorta di pista numerata in cui, lanciata la pietra nei quadranti, si saltava.
Francesco Antonio Caraglio
/in Approfondimenti /da f.frisaNOME: Francesco Antonio
COGNOME: Caraglio
LUOGO E DATA DI NASCITA: 4 settembre 1627, Grottaglie
PROFESSIONE: Capitolo grottagliese
VITA: Francesco Antonio Caraglio nacque in Grottaglie il 4 settembre del 1627 da Giovanni Antonio notaio e da Rosa Aurifatis e battezzato il giorno seguente dall’ abate Cataldo Mannara, dottore in utroque jure e Cantore della collegiata, essendo padrini il dottor Donato Cesare e Vittoria di Natale.suo padre rogò in Grottaglie dal 1626 al 1670, come risulta ancora dagli atti che si conservano nell’ Archivio di Stato di Taranto. Apparteneva dunque a una famiglia agiata che gli permetteva di compiere gli studi e di intraprendere la carriera ecclesiastica. Riuscì, ad addottorarsi giovanissimo in diritto a Roma e a divenire canonico e arciprete della collegiata prima ancora di essere ordinato sacerdote. In effetti entrò tra i canonici a soli 20 anni e, nel 1648 precedeva il canonico Marco Faenza che pur era sacerdote, in virtù dell’anzianità nella dignità del canonicato. Nel maggio del 49’, insieme con due altri rappresentanti del clero, si recò a Taranto per l’ubbidienza a San Cataldo; il capitolo grottagliese venne multato nell’ occasione con 150 ducati perché avrebbe dovuto mandare almeno 10 persone; ma lo aveva fatto per non creare pregiudizio in una celebre questione di precedenza che vantava sul clero martinese e che lo stesso Caraglio difese magistralmente nella sua prima opera intitolata “Clypeus adversus Martinensium praetensiones”, scritta appunto in quegli anni.
Il 15 agosto 1649 fu eletto “Razionale” del capitolo. I razionali (erano quattro) avevano il compito di controllare ed “esigere ragione” dell’operato dell’economo, del procuratore dei morti, del tesoriere; assegnare le porzioni, assolvere o condannare gli inadempienti, ecc… Nel novembre dello stesso anno, insieme con D. Giacomo Blasi, si recò dal vescovo di Mottola per discutere un breve di esecuzione sulle “vigesime”. Nei mesi successivi gli vennero affidate diverse cause, questioni e liti di interesse del capitolo, segno inequivocabile che, nonostante la giovane età, i capitolari nutrivano la più ampia fiducia. Nel marzo 1650 lo troviamo già arciprete, a soli 23 anni. Il 1650 non fu un anno tranquillo, infatti, alcuni preti inviano al Nunzio di Napoli un memoriale contro altri preti, per cui si attende un commissario per istruire un processo.
L’arciprete Caraglio, che ha avuto notizia di tale movimento, si premura di fare una relazione all’ arcivescovo Caracciolo, allora a Roma, perché castighi come padrone benignissimo tali figli indegni di questo Capitolo. Sul finire del 1652 gli amministratori dell’Università, impongono sul macinato la gabella di una “cinquina per tumulo da macinare al posto della portulania”, anche ai preti che però ne informano l’arcivescovo perché gli tuteli nella loro immunità. Il periodo dell’alleanza tra l’Università e il clero sembra tramontato. A difesa del diritto è senza dubbio l’arcivescovo Caracciolo, ma in prima fila nella rischiosa battaglia si troverà, perché investito dalla prima dignità capitolare, il giovane e coraggioso arciprete Caraglio. Intanto, nel 1653, il Capitolo affida al suo capo l’impegnativo incarico di mettere ordine nella confusa situazione e dei molti beni appartenenti alla chiesa per i quali v’erano contestazioni e liti in mancanza degli strumenti relativi al diritto di possesso; il vecchio registro non costituisce più un sicuro fondamento giuridico; è necessario quindi riordinare ogni cosa recuperando gli strumenti e, in mancanza di questi, annotando con dichiarazioni giurate il diritto su tali beni. Una fatica onerosa per la quale nell’ agosto del 54’ il Caraglio chiede collaborazione e aiuto; gli vengono così associati D. Francesco Antonio Blasi e D. Giovanni Antonio Salinaro notaio apostolico. In seguito si aggiunge pure d. Federico Lo Monaco. Due anni dopo due fatti turbano la comunità nei confronti rispettivamente del feudatario laico e dell’università. Vincenzo Velluti, Barone del “criminale”, proibisce con minaccia di carcerazione a tal Donato Antonio Mele e compagni di continuare a lavorare nella conceria sita nell’ abitato, appartenente al Capitolo che, perciò, ricorre, tramite l’arciprete, all’ arcivescovo.
Il governo dell’Università, invece, pretende toglierci il Datio della carne e perciò poichè nessuno avrebbe potuto far valere le ragioni meglio del “Signor Arciprete”, tutti gli si rivolgono perché assuma tale compito. Sembra quasi impossibile eppure Francesco Antonio Caraglio in anni carichi di occupazioni e oneri, trova il tempo per portare a termine un ambizioso disegno: la compilazione dello Status Insignis Collegiatae Ecclesiae Cryptaliensis, una raccolta ordinata e giuridica fondata di tutte le leggi, usi, consuetudini, diritti della Chiesa grottagliese. Caraglio intorno al 1650, aveva già scritto un’opera storica – giuridica sulla vecchia questione della precedenza sul clero di Martina, il Clypeus. Lo Status invece è lavoro di maggior impegno e dedizione rispetto al precedente. Il Capitolo non poteva non accettare con entusiasmo la fatica dell’ottimo arciprete, perciò si concluse che tutti i suoi volumi venissero stampati, a qualunque prezzo. Purtroppo, di stampa non se ne parlò più perché, come venne annotato su una copia tardiva dello Status colui che perseguitò lo stesso autore fino alla morte, fece in modo tale e si preoccupò che i due volumi non fossero dati alle stampe.
Il 15 agosto 1661 il capitolo discute sul caso di un tale Leonardo La Pace, molestato dagli amministratori perché togliesse la bottega della carne dalla piazza ; era un doppio attacco all’ immunità in quanto la bottega apparteneva al Capitolo e serviva quindi per controllare il dazio della carne. La situazione ormai precipita. Alcuni giorni dopo si riprese la questione concludendo di resistere alla palese provocazione. Si ricorrerà quindi nuovamente al superiore ecclesiastico di Taranto, Napoli e Roma per rappresentare tanti aggravi e ingiustizie, che vengono fatti giornalmente ai preti. Il 15 novembre 1661, al Capitolo prendono parte soltanto 51 sacerdoti e canonici; molti quindi gli assenti, segno della paura che coglie diversi ecclesiastici nel frangente.
Prende la parola l’arciprete per fare il punto e ragguagliare la Chiesa sulle provocazioni e violenze a danno non solo degli ecclesiastici, ma anche dei familiari. Il 30 novembre 1661 vi fu l’ultima apparizione in Capitolo del giovane prelato grottagliese. Si trattò proprio di vendere al Principe di Cursi le botteghe nella piazza, che erano state all’ origine di un così grave turbamento, per poter egli ampliare il palazzo baronale. Il Caraglio, nel raccomandare l’utilità della Chiesa e nel contempo la soddisfazione del principe, propendeva per l’assenso, ma incaricò una commissione di studiare bene la cosa. Nelle successive conclusioni egli non compare più, per cui è lecito supporre che minacciato di morte e prevedendo la sua fine, abbandonasse Grottaglie per recarsi in Francavilla, forse presso parenti. Il 2 aprile 1662, certamente per ulteriori pressioni e intimidazioni, non si potè fare il Capitolo, nonostante i presenti. Il 22 maggio il tragico epilogo: l’assassinio dell’arciprete in Francavilla per mano sicaria.
L’arcivescovo Caracciolo, ormai vecchio e addolorato, s’adoperò di far luce sul gravissimo episodio ma, cosa normale per quei tempi, senza alcun risultato. Il principe Cicinelli, venne sì inquisito, ma non si riuscì a condannarlo. L’atto di morte, recita freddamente: “ Il S. D. d. Francesco Antonio Caraglio, Arciprete delli Grottaglie passò a miglior vita e fu sepolto nella Collegiata con pompe funebri il 22 maggio 1662”.
OPERE
Il dotto e coraggioso arciprete grottagliese scrisse due opere che rimasero manoscritte per opposizione del feudatario laico di Grottaglie, ma che si sono conservate, grazie alle molte copie che si ebbe cura di fare:
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Clypeus adversus Martinensium praetensiones, in due parti, “Il possessorio” (ossia la difesa) e il “Petitorio” (cioè l’accusa): l’opera è rivolta verso i martinesi a proposito della pretesa di quel clero circa la precedenza e la preminenza.
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Status Insignis Ecclesiae Collegiatae Crypatliensis, in due tomi.
FONTI BIOGRAFICHE: Grottaglie nel tempo, Rosario Quaranta.
Foresta
/in Storia e Territorio /da f.frisaOggetto di innumerevoli dispute, la foresta si presentava come un’autentica perla per l’economia rurale grottagliese. La foresta era un bosco di querce in cui era presente anche la macchia che, parallelamente alle altre colture tipiche dell’habitat, non sfuggiva alle attenzioni degli allevatori grottagliesi e martinesi che, con accanita concorrenza, tentavano di assicurarsi in gestione.
Particolarmente importante era la così detta Macchie dè Tordi, di cui purtroppo non si ha più memoria in quanto subì probabilmente delle trasformazioni colturali che cominciarono, del resto, a farsi sentire su tutto il territorio grottagliese.
Flora a Grottaglie
/in Gravine /da f.frisaLe raccolte flogistiche effettuate nella Gravina di Riggio hanno permesso di catalogare ben 321 differenti entità.
La ricchezza flogistica di Riggio trova in parte una spiegazione in considerazione della diversità degli habitat che in essa si succedono e si alternano in spazi molto ridotti.
Parte della gravina è ricoperta da macchia mediterranea, suddividibile a sua volta, in macchia alta, macchia bassa e gariga. La macchia è costituita essenzialmente dalle tipiche e caratteristiche “sclerofille sempreverdi”, cioè da essenze arbustive con spiccate caratteristiche di termoxerofilia come: Pistacia lentiscus, Myrtus communis, Lonicera simplex, ecc.
Lo sviluppo della macchia è condiziato da vari fattori, in particolare essa è soggetta al tipo di substrato che, laddove diviene povero di humus e caratterizzato da roccia affiorante, favorisce l’instaurarsi di forme più stentate di vegetazione, fino a giungere a formazioni di cespugli bassi e prostrati con dominanza delle cosiddette “sclerofille microfilliche”.
In altre zone in cui la pressione antropica è più sensibile dominano specie “banali”, cioè entità sinantropiche o infestanti ad ampia diffusione e si possono rinvenire anche specie avventizie esotiche o specie sfuggite alla coltura.
Le pareti rocciose sono colonizzate da una rada e discontinua flora con prevalenza di camefite ed emicrittofite.
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