Vuele li cuecce o li sordi?

Per generazione la figura del Laùru, da sempre immaginato nella mente collettiva come un folletto/spiritello o -nei minori dei casi- come un bambino non battezzato, che ha coinvolto non soltanto l’ambiente tarantino ma anche salentino (scazzamurieddhru) e manduriano. Il nome “Laùro” deriva dal laùro (albero di alloro) dove il folletto si rifugiava nel diurno scatenando i propri capricci e ira funesta al malcapitato di turno nella notte.

La tradizione narra che il folletto si posi sul petto del malcapitato immobilizzandolo e impedendogli di respirare; oppure nelle fattorie si racconta che esso sia capace di intrecciare la criniera ai cavalli facendo ammattire il proprietario per districare la folta criniera.

In realtà entrambi i casi gli “scherzetti” del Laùro sono riconducibili a casi clinici: il primo, il peso sul petto, è dovuto a una cattiva digestione; il secondo a un tipo di bruco che si annida nelle criniere dei cavalli facendo intrecciare i peli.

Lu Laùro però può portare, se si riesce a togliere il cappello rosso che indossa, oro al malcapitato e il folletto porrà una domanda: “Vuele li cuecce o li sordi?” (Vuoi i cocci o i soldi?). Questo però è un tranello perché se si sceglie i soldi esso ti porterà ad avere cocci mentre se scegli i cocci ti porterà a scoprire i suoi tesori nascosti.

Per scacciare lo spiritello bisognava mangiare una fetta di pane seduti sul water.

A disparte da questa tradizione folkoristica, è presente un’altra più “romantica” del Laùro: negli anni passati l’amoroso e/o l’amante, di una donna per non farsi scoprire dalla famiglia di lei o di lui era solito coprirsi dalle spalle al volto con una “manta” e cercare di destreggiarsi nell’oscurità senza farsi riconoscere; i bambini che giocavano per le strade e lo vedevano nel buio urlavano: “E’ lu Laùro!

Colonne inglobate e colonne ad angolo

È ricorrente nel sud della Puglia il motivo di derivazione michelangiolesca della colonna alloggiata all’interno di uno scavo praticato in una sezione della parete o di un pilastro. Degli esempi grottagliesi possono essere entrambi i portali settecenteschi di Palazzo Blasi in via Maggiulli e soprattutto il palazzo De Felice (datato 1767) in piazza Santa Lucia. In entrambi i casi le colonne, poste laterali al portone, sono posate su alti basamenti e poi racchiuse da pilastri creando un gioco chiaroscurale che le evidenziano*.

Importante nella storia dell’architettura è anche le colonne ad angolo e gli angoli smussati.
La colonna ad angolo è di grande scenografia per le prospettive urbanistiche del centro storico. Lo scopo della colonna ad angolo è quello di integrare lo spazio-strada all’edificio dove essa è posizionata. La disposizione di pilastri angola e/o colonne angolari segue gli assi principali di accesso alla città e lungo i percorsi processionali o vicine a emergenze architettoniche**. Solitamente, il capitello è sovrastato dallo stemma o da una nicchia con la statua di un santo- raro è il caso dell’iscrizione-. L’altezza della colonna è in funzione allo spazio urbano ma in alcuni casi può essere anche più alta del pian terreno***.

A Grottaglie le colonne ad angolo sono poste sugli assi d’ingresso alla cittadina come in via Vittorio Emanuele II presso il palazzo Cometa, originariamente via d’accesso al paese tramite Porta Sant’Angelo e la seconda invece è collocata in via Battista punto nevralgico per il flusso processionale.

 

* Vincenzo Cazzato, “La dialettica dei volumi nell’architettura salentina tra 500 e 600” p. 364 in
** Vincenzo Cazzato, “Lecce: Assi e linguaggio di una città barocca” pp.371-371 In (a cura di) M.M. Madonna e L. Trigilia, “Barocco Mediterraneo: Sicilia, Lecce, Sardegna, Spagna”, Istituto Poligrafico dello Stato Libreria dello Stato, Roma 1992.

 

Le Chiese rupestri della Gravina di Riggio

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Le chiese rupestri della Gravina di Riggio

 

  1. Chiesa Maggiore (Chiesa rupestre del Salvatore)

E’ situata sul greppo sinistro della Gravina. Vi si accede imboccando una strada tagliata pochi metri a Sud della masseria di Tommaso Maggi, in discesa, verso Sud, fra sassi e rocce.

Dopo un percorso, non agevole, di circa 85 metri, si giunge di fronte alla chiesa rupestre, il cui ingresso, demolito, si presenta come l’ingresso di una grotta naturale.

La parete di fondo ha due piccoli absidi: la centrale più grande, la laterale più piccola, contenente ancora il blocco roccioso che costituisce il rudere di un altarino, attaccato alla parete di fondo.

La navata è a base quadrata col lato di circa m 6,30; ha il pavimento di calcare tufaceo a superficie diseguale per il secolare calpestio dei fedeli, e un sedile perimetrale ricacciato dalla roccia, alto centimetri cinquanta e largo settanta.

Agli angoli della parete di fondo vi erano due conche battesimali, dove i catecumeni immergevano i piedi nell’acqua lustrale, mentre contemporaneamente ricevevano l’aspersione del battesimo.

La volta piatta presenta sei anelli praticati nella roccia, dai quali pendevano le lampade a olio o lucerne che si accendevano durante le sacre funzioni.

Sulla parete di fronte all’entrata si aprono due piccole absidi: una al centro e l’altra a destra di chi guarda.

Due strati d’intonaco coprivano tutta la superficie; ora sono ridotti a tante chiazze sulle quali s’intravedono parti di figure.

Sul più antico strato d’intonaco in parte scoperto, si scorge la figura maestosa del Salvatore con grandi occhi a mandorla in mezzo a due santi.

Sul catino della piccola abside si vedono affrescate le immagini: della SS. Vergine al centro, seduta in trono col Bambino Gesù, al lato destro quella di S. Paolo che ha in mano la spada e all’altro quella di S. Pietro con l’evangelario in mano. All’altezza della testa della Vergine si leggono le seguenti lettere: MH XS (Mater Christi).

La decorazione dell’affresco più recente è formata da volute di viticci e di foglie di acanto di color celeste, mentre la più antica presenta un meandro di piccoli rettangoli spezzati, alternati gialli e color d’olio su fondo oscuro.

Al di sopra degli archi trionfali delle due absidiole si vedono pitture di fondo nero.

A sinistra è dipinto un angelo con le ali orlate di rosso; al centro, in un ovale, lo Spirito Santo; a destra forse S. Simeone.

Procedendo dalla porta d’entrata verso l’altare, al parte affrescata è divisa in due zone. In quella superiore si notano quattro santi papi o patriarchi occidentali con abiti pontificali e pallii con croci latine; dietro la testa hanno aureole gialle contornate da linee rosse.

Il primo, da destra verso sinistra, con la mano destra benedice e con la sinistra regge un evangelario; il secondo con identica posa e libro sul quale si nota una croce latina contornata da perline; il terzo e il quarto sono identici ai primi.

Le suddette figure, schierate con severo senso d’immobilità, hanno i caratteri predominanti dello stile orientale.

Seguono nella stessa fascia: un Apostolo; un giovane con la barba corta; un vecchio calvo con lunga barba bianca.

La decorazione figurata delle pareti, dell’attico e del secondo, o più recente, intonaco delle absidiole si può assegnare alla seconda metà del secolo XI.

 

  1. Chiesa Minore

La cripta è formata da tre vani, di cui uno incompleto. Gli affreschi, raffiguranti S. Biagio e S. Simeone, si presentano incompleti. Essi sono affrescati secondo uno schema antico e con stile severo. San Biagio è in posizione eretta e si staglia su di uno sfondo bicolore: nero il superiore, rosso l’inferiore. Di San Simeone è visibile il capo contornato dal nimbo.

Purtroppo, la chiesa minore, attualmente, è ridotta, da quel piccolo gioiello che era, a un rudere molto degradato e spoglio di ogni orna, tentazione pittorica.

 

Le due chiese, maggiore e minore, sono ubicate quasi di fronte, la maggiore sul greppo sinistro, la minore sul greppo destro, raggiungibile dalla Grottaglie – Martina Franca.

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La Chiesa dei Paolotti

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Il chiostro dei Parlotti

Il “Convento dei Paolotti” presenta al centro un chiostro a forma di quadrilatero, costituito da venti arcate a tutto sesto, sorrette da venti colonne.

Queste colonne hanno un aspetto dorico e il materiale utilizzato è carparo del luogo.

Sui tre lati sud-est-ovest, le colonne sono quadrate e sormontate da piccoli capitelli; le colonne del lato nord sono ottagonali e senza capitelli (modello francescano).

Nel chiostro la base è un unico rialzo perimetrale, con due cuscinetti accennati a doppio ripiano; il fusto è senza scalmanature, assottigliato per accentuare l’energia di tensione verso l’alto.

Il capitello si compone di un cuscinetto a linea curva (echino) e di un parallelepipedo (abaco) sul quale poggia un semicatino con foglia ai lati.

Nel piano superiore del lato nord, i pilastri ripetono motivi analoghi a quelli del piano inferiore.

Le volte sono a vela; al centro di ognuna di esse una pigna, di diversa forma, fa chiave di volta.

Sei ampi finestroni luminosi del corridoio di soggiorno del soprastente atrio si affacciano sul lato nord, in proiezione prospettica, conferendo al chiostro eleganza e sontuosità.

Anticamente queste grandi luci del piano superiore erano completamente aperte e senza infissi e i sette massicci pilastri, sormontati anch’essi da capitelli di decorazione analoga al chiostro, variavano, con una sequenza di pieni e vuoti, l’austera uniformità dell’atrio.

Le lunette costituiscono degli elementi decorativi di estrema importanza anche dal punto di vista culturale. Le lunette che accompagnano il viaggio lungo il chiostro sono trentadue.

Quattro sono già all’ingresso. Il primo incontro lo si fa con l’albero genealogico dell’ordine dei “Minimi”. Poi si prosegue con la vita di San Francesco e il racconto si snoda narrando per immagini la storia degli incontri del santo e i miracoli.

I martiri hanno tra le lunette un posto importante. Tra questi vanno ricordati il francese padre Eustachio Aprili e il frate Tommaso Felton.

Il racconto di San Francesco è suggestivo. La sua vita viene rappresentata attraverso i più significativi episodi.

Dall’uscita del deserto all’incontro con l’Arcangelo S. Michele. Dagli episodi dove sono impressi i segni dei miracoli alle immagini che raccontano la canonizzazione.

I medaglioni che raffigurano la vita di importanti personaggi sono situati tra le lunette. I medaglioni sono la recita di personaggi rappresentativi. Interessanti quelli della madre e del padre di San Francesco di Paola: Vienna di Fuscaldo e Giacomo d’Alessio.

Oltre al chiostro il complesso si arricchisce di un altro ambiente che ha una sua valenza architettonica particolare.

Il Refettorio si presenta come un ambiente austero, solenne come una cattedrale gotica, ma di ispirazione cistercense.

 Interno della Chiesa dei Paolotti

La chiesa è costituita da una sola navata centrale con sei cappelle laterali, tre per ogni parte.

Dietro l’altare maggiore c’è il coro, in noce, con quaranta stalli, in due piani.

La titolare è la Madonna delle Grazie, per un’antica edicola di questo nome esistente.

Le sei cappelle sono dedicate rispettivamente, procedendo da destra, all’Assunzione, al Beato Nicola da Longobardi, a San Francesco di Paola, a San Michele Arcangelo, alla Sacra Famiglia, al Beato Gaspare de Bono. La cappellina a destra del transetto alla Madonna del Rosario.

Tutte le cappelle sono in pietra scolpita e strutturate in ridondanti forme barocche. Graziose le due tribune ai lati dell’altare maggiore, decorate con vivacità cromatica. Notevole anche l’artistico pulpito e l’elegante organo (in disuso).

“Vero altare maius”, maggiore per la sua ampiezza e per la ricchezza dei marmi policromi, che incentra la diversità dei toni di tutto il tempio. Il presbiterio è circoscritto dalla balaustra.

Il pavimento è formato da cianche di pietra scalpellata per traverso con sei motivi geometrici.

Antonio Marinaro (senior)

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NOME: Antonio

COGNOME: Marinaro (senior)

LUOGO E DATA DI NASCITA: fine del XV secolo, Grottaglie

PROFESSIONE: teologo

VITA: Nacque sul cadere del XV secolo ed entrò nell’Ordine dei “Carmelitani”, introdotti a Grottaglie nel 1505 per opera del sacerdote D. Romano De Romano. Nel convento grottagliese egli indossò il saio e passò poi ad insegnare teologia nei collegi dell’Ordine a Venezia, Roma e Napoli.

 Nel 1548, era professore di teologia presso l’Università di Roma. Precedentemente, nel 1542, aveva fondato il convento di Bari. Per la sua profonda dottrina, specie nella sacra scrittura, per il talento nell’arte oratoria, per la prudenza e le elette virtù, ascese alle cariche più importanti dell’Ordine: visitatore apostolico in Sicilia, Provinciale perpetuo di Puglia dal 1539 al 1568 (anno in cui rinunciò), procuratore generale. In tale veste partecipò al concilio tridentino, ove si distinse per il valore teologico. Pronunziò infatti tre discorsi ai Padri conciliari, con somma soddisfazione di tutti. Il primo (20 dicembre 1545) trattava della insufficienza della legge mosaica e della necessaria fede in Cristo; il secondo (4 aprile 1546) riguardava la necessità delle opere buone; il terzo fu recitato qualche anno dopo, ma non se ne conosce il contenuto. I primi due discorsi vennero stampati e inseriti nelle raccolte degli atti conciliari.

Si tratta indubbiamente di un personaggio di primo piano della cultura religiosa cinquecentesca, da collocarsi meritevolmente tra i grottagliesi più insigni.